IL SUPPORTO IMMAGINATIVO DELLA FIABA
" lo credo questo: le fiabe son vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata ai tempi remoti e serbata nel lento ruminìo delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi ad un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che è appunto il farsi un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sè un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano.
E in questo sommario disegno, tutto uomini bestie cose, l'infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste".Italo Calvino
La fantasia è il processo naturale ed innato mediante il quale il bambino impara a dare un senso al mondo esterno ed il suo mondo interiore ne è intriso fino al punto che egli, spontaneamente, trasforma ciò che apprende in un gioco o in una storia.
La letteratura, e a maggior ragione la fiaba, che Alberto Moravia definì l'infanzia della stessa, non ha solo lo scopo di dare impulso alla cultura, ma anche quello di suscitare particolari stati emotivi, passioni e terrori, e di favorire la catarsi, la purificazione da quelle passioni e da quei terrori.
Le favole, le cui radici affondano e si perdono nelle propaggini del tempo, si immergono nelle paure infantili, le dilatano in fantastici scenari, le dipingono coi colori del sogno ed infine creano una conclusione, che le dissolve nel tepore di un rassicurante lieto fine.
E questa la funzione terapeutica e pedagogica della fiaba: aiuta il bambino a trovare il significato dell'esistenza, arricchisce il suo mondo immaginativo ed intellettivo, gli fa scoprire le sue risorse interiori e gli fornisce validi strumenti per una maggiore comprensione di sè e degli altri.
La fiaba comunica i suoi messaggi alla mente conscia, preconscia ed inconscia del bambino, consentendogli di esprimere i suoi conflitti, le sue ansie, le sue tensioni pulsionali, attraverso il materiale in essa contenuto.
E in quel paese della
fantasia, dell'invenzione si dilata lo spazio dell'immaginario, si intraprende un viaggio
nell'avventura, si gioca con personaggi così diversi da sè che il bambino impara a
conoscere, a valutare ed anche ad amare, inserendoli nel proprio mondo. "Il bambino ha bisogno delle sue funzioni e delle sue creazioni fantastiche...
Egli non chiede come noi dove sia l'oggettività, ma si contenta di scoprire la totalità del reale, della gioia che sente in sé. Nelle fiabe i processi
interiori sono tradotti in immagini visive, i conflitti in simboli. La loro più importante
funzione è quella di rispecchiare gli archetipi, ossia gli elementi ereditari della
psiche dell'uomo, vere "forze psichiche vive", come li definisce Jung, che
riflettono modelli di esperienze comuni, attraverso la storia della coscienza umana e le
cui fonti sono miti, fiabe, sogni, in cui si esprimono per metafore, trascendendo la
comprensione della normale coscienza vigile. Le fiabe sono costruite sui
simboli e descrivono le emozioni della Mente mediante immagini ed azioni; così le crisi
esistenziali ed evolutive sono rappresentate fantasticamente e simbolicamente. Così come la fiaba
rappresenta problemi comuni, umani, quotidiani, quali la rivalità raterna o edipica, il
tradimento, l'abbandono, la gelosia, l'invidia, nel contempo offre la soluzione degli
stessi, incoraggiando il bambino a fantasie ottimistiche. I processi della formazione
e dell'uso dei simboli si collegano con l'attività mentale, attivià che ha inizio
assai presto nell'infanzia. "I simboli e l'attività simbolica non funzionano soltanto nello scambio fra le persone,
ma contribuiscono ai voli della mente umana, alla costruzione di edifici di pensiero e di immagini che incrementano la cultura"
(S. Arieti, "Manuale di psichiatria", Boringhieri, Torino 1969). I simboli ci consentono di immaginare, di rievocare, di prevedere.
E riconduce questo reale trasformato all'interno di se stesso". (O.K. Seung, ""Psicopedagogia della fiaba", Armando, Roma 1972).
Definiamo simbolo una cosa esterna che ne rappresenta un'altra e diventa universale quando è
radicato nelle esperienze di ogni essere umano.
Infatti, sono simboli universali quelli comuni a tutti gli uomini; per esempio, l'acqua è simbolo di movimento,
il sole di vita, la montagna di ostacolo impenetrabile, la foresta di pericolo o di
ignoto.
Pertanto, se l'eroe sta vivendo una situazione interiore confusa, un conflitto angosciante, la storia lo
rappresenta perduto in una foresta fitta ed impenetrabile, disperatamente incapace di
intravedere un qualsiasi spiraglio di salvezza; quando le pulsioni dell'Es sembrano
premere in modo incontrollato, l'orrore suscitato da un animale selvaggio le raffigura con
sagace intuizione.
All'interno della psiche, mediante il processo simbolico, trasformiamo l'esperienza in simboli, fruendo di nessi
consci ed inconsci.
I riti religiosi, le ricerche scientifiche, l'arte sono attività simboliche mediante le quali comunichiamo con la cultura e con tutta l'umanità.
La cultura, a sua volta, comunica con il bambino, plasmandolo fin dalla culla, modellando il suo pensiero, le sue emozioni, dopo che egli è
penetrato nel mondo simbolico del linguaggio.
La letteratura, comprendendo con questo termine poemi, tragedie, miti e fiabe, ha il compito di promuovere la cultura,
suscitando nel contempo particolari stati emotivi e favorendo la catarsi, giacchè come dice Aristotele:
"Tragedia è imitazione di un'azione seria e compiuta in se stessa che, mediante avvenimenti
che suscitano pietà e terrore, produce nell'anima la purificazione da tale passione".(Aristotele, "Poetica" 1499b, 27).
Il linguaggio fa quindi parte degli scambi ed ha valore, non solo per ciò che apporta, ma anche per il contesto affettivo nel quale si sviluppa.
Il bambino parla perché ha interesse nel linguaggio, perché ha bisogno di parlare, di comunicare, di quella complicità
che in un dialogo si instaura tra il mittente ed il destinatario.
Per un bambino che presenti alterazioni del linguaggio può essere di estrema importanza una più ampia comprensione del suo mondo interno
e delle modalità dei rapporti interpersonali ed è quindi fondamentale offrirgli degli strumenti che gli consentano un più
facile accesso alle sue risorse interiori ed un arricchimento del suo mondo immaginativo.
La fiaba, per i suoi contenuti sia morali che fantastici, costituisce un valido aiuto per fornire quegli strumenti, giacchè come dice Schiller: " C'è un significato più profondo nelle fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che nella verità qual è insegnata dalla vita"(I Piccolomini, III 4).
Il bambino, oscuramente, avverte che dentro di lui esiste e pulsa una componente asociale ed aggressiva, che lo fa sentire tanto cattivo, ed è soprattutto nel caso della balbuzie, dove le tendenze ostili sono predominanti, che la fiaba fornisce una scappatoia, recando un messaggio consolatorio e rassicurante, che gli consente di scaricare, se non di sconfiggere, la sua angoscia, la sua disperazione, la rabbia per la sua 'diversità'.
Secondo Italo Calvino, "la spinta verso il meraviglioso resta dominante anche se confrontata con l'intento moralistico".
Infatti, la morale nella fiaba , sempre implicita, consiste "nella vittoria delle semplici virtù dei personaggi buoni
e nel castigo delle altrettanto semplici ed assolute perversità dei malvagi" e quasi mai vi si insiste in forma platealmente pedagogica o sentenziosa.
La sua funzione morale consiste piuttosto nell'istituzione stessa della fiaba, non già nei suoi contenuti, poichè
"affascinando l'ascoltatore con la sua arcana meraviglia, la fiaba preserva dal commettere peccati".
Spesso è proprio l'avvio realistico di molte fiabe che consente di immergersi nell'oceano dell'immaginario, di librarsi nei cieli dorati del sogno e della fantasia.
"chi sa quanto è raro costruire un sogno senza rifugiarsi nell'evasione apprezzerà... questa forza di realtà che interamente esplode in fantasia.
Migliore lezione poetica e morale le fiabe non potrebbero darci"
(I. Calvino,"Fiabe italiane", Einaudi, Milano 1956).
E' soprattutto quando il bambino è per qualche motivo incapace di immaginarsi un roseo futuro, che si verifica un arresto dello sviluppo e, proprio perchè non riesce a creare fantasie ottimistiche da solo, la fiaba gliene porge alcune, sollevandogli il morale e comunicandogli che nella vita scontri e lotte sono inevitabili, ma che solo chi non si ritrae intimorito, può uscirne vittorioso.
I soggetti con disordini nel linguaggio, ancor più di altri, necessitano di migliorare la ricezione degli stimoli acustici,
di progredire nell'uso affettivo del linguaggio stesso.
Poichè la fiaba inizia nel punto in cui il bambino, senza l'aiuto della storia, rimarrebbe bloccato, sentendosi respinto ed umiliato, raccontare una favola
significa incoraggiare la speranza, pur senza creare illusioni, incoraggiando il piccolo a prendere a prestito, per uso privato, speranze fantastiche nel futuro,
senza fuorviarlo sulla realtà di suddette fantasie.
Affinchè possa comunicare in modo esaustivo i suoi messaggi consolatori, educativi ed i suoi significati simbolici, una fiaba dovrebbe essere raccontata piuttosto che letta,
poichè ciè consente al bambino una maggiore, ed intensa partecipazione emotiva.
E' altresì fondamentale che il narratore abbia coscienza dei messaggi impliciti nel testo, poichè ne possa fare un uso più adeguato e mirato,
senza tuttavia rivelarli al suo piccolo interlocutore.
Bettelheim paragona la fiaba ad uno specchio magico a più strati, che riflette alcuni aspetti del mondo interiore ed i passi necessari alla nostra evoluzione: più vi guardiamo dentro e più vi scopriamo immagini nascoste e profonde.
Il bambino vi si specchia per trovarvi riflessi i suoi conflitti, le sue paure, i suoi desideri e vi scorge, a seconda dell'età quello strato che maggiormente corrisponde alle sue esigenze del momento.
Quello più piccolo, che inconsciamente si dibatte nelle ansie suscitate dal processo della formazione della personalità si identifica con il personaggio del 'sempliciotto', fragile ed incompreso che, in modo simbolico, rappresenta l'originaria debolezza dell'lo, quando inizia la sua lotta per affrontare il mondo, sia interiore che esterno.
La fiaba offre quindi del
materiale fantastico per rappresentare la battaglia per il conseguimento
dell'autorealizzazione, consentendo al bambino di intuire il superamento dei suoi problemi
e di quei momenti di assoluta disperazione, che lo colgono in determinati periodi
dell'esistenza.
Fornisce pertanto degli appigli, apporta un messaggio consolatorio e rassicurante circa le difficoltà della vita,
le angosce, la paura della morte, garantendo un lieto fine. Lieto fine che suggerisce al
bambino che, solo formando una valida relazione interpersonale, l'uomo può sfuggire
all'angoscia di separazione che lo ossessiona e dalla paura della morte, poiché la
sicurezza emotiva aiuta a tollerare queste emozioni.
Isolando e separando fra loro i disparati ed ambivalenti aspetti del quotidiano, proiettandoli in personaggi diversi, che possano anche rappresentare le parti cattive dei genitori, la fiaba consente al bambino di esprimere liberamente i suoi desideri di vendetta verso il protagonista malvagio, senza subire alcun senso di colpa nei confronti dei genitori stessi.
Ad esempio, consente di alleviare le ansie pulsionali riguardo ai sentimenti edipici così ambivalenti; al bambino edipico, deluso dalla madre che cosìostinatamente gli preferisce il padre, regalando l'immagine della principessa, che lo ricompensa di tutte le privazioni o che almeno gliele rende più tollerabili; alla bambina edipica, che il padre non circonda di tutte le attenzioni ambite, con l'immagine del principe, che un giorno giungerà e la preferirà tutte le rivali. In questo modo, il bambino comprende che non è aggrappandosi alla madre, come egli ambisce, che può trovare se stesso, ma accompagnandosi ad un'altra persona con cui potrà vivere felice.
Bettelheim fa riferimento alla storia de: 'Il pescatore e il Genio' come ad una delle più ricche riguardo a messaggi nascosti, in quanto il Genio, dopo secoli di prigionia, non è affatto grato alla persona che lo libera, proprio perchè la sua ansia di libertà è stata così a lungo frustrata. L'angoscia che traspare dalla sua ingratitudine è molto simile a quella di un bambino che si sente 'abbandonato' e che, più il tempo passa, più sente aumentare la collera dentro di sè, fino al punto di meditare atroci vendette.
"Un esempio di questa progressione di sentimenti fu offerto da un bambino di tre anni,
i cui genitori erano andati a passare parecchie settimane all'estero.
Il piccino parlava benissimo prima della partenza dei genitori e continuò così con la donna che accudiva a lui e con altre persone.
Ma, al ritorno dei suoi genitori, non disse una sola parola né a loro né ad altri per due settimane.
Stando a quanto aveva confidato alla sua governante, era chiaro che durante i primissimi giorni dell'assenza dei suoi genitori aveva atteso con grande impazienza il loro ritorno.
Alla fine della prima settimana, però, cominciò a dire che era in collera con i genitori che l'avevano abbandonato e che al loro ritorno gliela avrebbe fatta pagare.
Una settimana dopo, si rifiutò perfino di parlare dei suoi genitori e s'infuriava violentemente quando qualcuno accennava a loro.
Quando finalmente suo padre e sua madre arrivarono, voltò loro le spalle senza degnarli di una parola.
Malgrado tutti i tentativi per smuoverlo, il bambino rimase fermo nel suo atteggiamento di ripulsa.
Ci vollero parecchie settimane di comprensiva sollecitudine da parte dei suoi genitori perché il bambino potesse tornare quello di prima.
Appare chiaro che la collera del bambino si acuì col passare del tempo, fino a diventare così violenta ed impetuosa da fargli temere che, se si fosse lasciato andare, avrebbe distrutto i suoi genitori o sarebbe stato distrutto per rappresaglia.
Il suo rifiuto di parlare era la sua difesa: il suo sistema per proteggere se stesso e i suoi genitori dalle conseguenze della sua tremenda ira"
(B. Bettelheim, "Il mondo incantato", Feltrinelli, Milano 1977).
Nelle fiabe raccolte da Italo Calvino, quella intitolata "Corpo senza l'anima" rappresenta un prototipo del contenuto simbolico e catartico della fiaba.
Il protagonista, Giuanin, vuole andare a cercare fortuna per il mondo, ma è ancora piccolo e la madre lo ammonisce che, solo allorquando fosse stato in grado di "buttare giù il pino dietro la casa", sarebbe potuto partire.
Con questo stratagemma, la fiaba avverte il bambino che c'è un'età giusta per ogni cosa e gli consente di alleviare quel vago senso di impotenza, per la propria fragilità e debolezza, che sovente lo affligge.
Dopo avere superato la prova dell'albero, Giuanin incomincia il suo viaggio e giunge in una città il cui re possiede un cavallo che non si fa cavalcare da nessuno.
Il ragazzo intuisce che l'animale teme la sua stessa ombra, così, tenendogli il muso contro il sole, riesce a domarlo e ad ottenere i favori del sovrano.
E' questo un simbolico invito alla riflessione che, spesso, nella vita aiuta a trovare la giusta soluzione ad un problema.
La benevolenza di cui è fatto oggetto, però, attira su Giuanin l'invidia degli altri scudieri, i quali, per liberarsi di lui, fanno sapere al re che egli si sarebbe vantato con loro di poter liberare la principessa sua figlia, da tanto tempo prigioniera del Mago 'Corpo–senza–l'anima' e che nessuno era ancora riuscito a salvare.
Qui la storia mette in guardia il bambino da situazioni che potrebbero verificarsi nella sua vita futura e su sentimenti di rivalità di cui potrebbe essere l'oggetto.
Obbligato a partire con l'incarico di liberare la principessa, Giuanin incontra sul suo cammino un leone, un cane, un'aquila e una formica che devono spartirsi un asino morto
e che lo scelgono come giudice.
Fattosi coraggio, egli riesce a dividere la carne in modo soddisfacente ed equo, conquistandosi la gratitudine degli animali, al punto che essi, promettendogli di accorrere in suo aiuto qualora egli si trovi in difficoltà, gli offrono quattro regali magici.
Grazie a questi, ma soprattutto alla sua astuzia ed intelligenza, Giuanin riuscirà nella sua impresa e sarà ricompensato degnamente dal re, ottenendo la mano della principessa.
Attraverso questi messaggi sottili, la fiaba suggerisce che, credere ad un ausilio magico, può effettivamente rendere più sicuro di sè chi si appresta all'impresa di affrontare il mondo oscuro ed inquietante, ma nel contempo rivela come solo l'iniziativa personale e l'accettazione del rischio sono l'unico modo efficace per dominare la vita.
"Per due anni ho vissuto in mezzo a boschi e palazzi incantati, col problema come meglio vedere in viso la bella sconosciuta che si corica ogni notte al fianco del cavaliere, o con l'incertezza se usare il mantello che rende invisibile o la zampina di formica, la penne d'aquila o l'unghia di leone che servono a trasformarsi in animali.
E per questi due anni a poco a poco il mondo intorno a me veniva atteggiandosi a quel clima, a quella logica, ogni fatto si prestava ad essere interpretato e risolto in termini di metamorfosi ed incantesimo .Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra
Ora, il viaggio tra le fiabe è finito .e ne son fuori : riuscirà a mettere i piedi sulla terra?"/p>
Italo Calvino
BIBLIOGRAFIA
Ajuriaguerra J. "Manuale di Psichiatria del bambino", Masson, Milano 1979
Frazer J.C."Il ramo d'oro", Boringhieri, Torino, 1969
Freud S. "Totem e tabù", Boringhieri, Torino, 1969
Fromm E. "Il linguaggio di menticato", Garzanti, Milano 1977
Jung C.G. "L'uomo e i suoi simboli, Mondadori, Milano 1977
Mills J.C. e Crowley R."Matefore terapeutiche per bambini", Astrolabio, Roma 1988
Propp V. "Le radici storiche dei racconti di fate, Boringhieri, Torino, 1976
da "Difficoltà di linguaggio e integrazione scolastica", Bulzoni editori, Roma 1991.
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